lezioni 2018

8 cose (di business) che ho imparato nel 2018

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Introduzione

Rieccomi con un post sulle lezioni imparate. L’anno scorso ho scritto per la prima volta un post del genere (con le lezioni del 2017) e ammetto che questo tipo di contenuto vi è piaciuto parecchio. E in realtà piace molto anche a me.

Ho sempre pensato che fare contenuti di qualità significhi condividere ciò che si impara lungo il percorso, piuttosto che avere la pretesa di insegnare qualcosa a chi legge.

E quindi, dicevo, rieccomi con un post sulle lezioni di business che ho imparato durante il 2018.

Alcune di questi punti potrebbero sembrare di una banalità e di una ovvietà disarmante (e forse lo sono), ma finché non sbatti la tua testa su certe cose non le comprendi a pieno. Forse alcuni di questi concetti covavano dentro di me da diverso tempo e poi sono “esplosi” nel corso dello scorso anno.

Aggiungo una piccola premessa prima di passare alla lista: in alcune di queste lezioni ci saranno ovvie digressioni personali e da aspetti puramente di business potrei finire a parlare di aspetti privati e soggettivi, ma credo che in fin dei conti sia giusto così, altrimenti non saresti qui sopra a leggere questo post.

Iniziamo!

1. Organizzare un evento è molto complesso

Il 2018 è stato per me, senza ombra di dubbio, l’anno degli eventi. In tutti i sensi: eventi organizzati da me ed eventi dove sono stato ospite.

In particolar modo è stato l’anno del Growth Hacking Day (ora Growth Conference Europe), la conferenza sul Growth Hacking che co-organizzo insieme a Luca Barboni, Gerardo Forliano e Andrea Bifulco.

Conferenza che per due volte consecutive è stata la più grande d’Europa sul tema, con 500 partecipanti e speaker internazionali provenienti dalle top aziende di tutto il mondo (Adobe, Hubspot, Transferwise, N26, Skyscanner, e così via).

Solo organizzando questo evento ho capito la complessità che c’è dietro un’attività di questo tipo, complessità che si amplifica quando sei un team di sole 4 persone con a supporto una manciata di pazzi volontari che prendono a cuore questa folle impresa.

growth hacking day team

Ricordo bene il mio sguardo di disapprovazione quando a un evento dove ero ospite non funzionava il wi-fi. Vuoi sapere come è andata a finire? Che il karma mi ha punito e al mio evento il wi-fi è andato giù entrambe le volte dopo pochi minuti.

Ovviamente questo del wi-fi è solo un esempio.

Credo che organizzare un evento sia una delle attività più complesse in cui io sia stato coinvolto: venire incontro alle esigenze di tutti; trovare gli speaker; convincere gli sponsor; vendere i biglietti; sistemare la location; e chi più ne ha più ne metta.

Richiede capacità organizzative come poche altre attività che ho svolto e mi sta insegnando molto da diversi punti di vista. Anche perché ho scoperto che la legge di Murphy applicata agli eventi è qualcosa di pazzesco.

Hai presente il detto “se qualcosa può andare storto, allora andrà storto”, ecco negli eventi il qualcosa è letteralmente qualsiasi cosa!

2. Il pulsante cancella/banna è una manna dal cielo

Nel post dell’anno scorso avevo parlato molto del tema “hater e commenti negativi” perché mi rendevo conto che al crescere delle visibilità (anche minima) cresceva esponenzialmente la presenza di hater sulle varie piattaforme.

(Parentesi veloce: per hater non intendo la persona che critica il contenuto o il concetto, ma proprio il cagacazzi da social che insulta, interviene in maniera volgare e non ha nessuna intenzione di intavolare una conversazione costruttiva.)

La figura dell’hater non è qualcosa di facile da gestire, né a livello psicologico né emotivo e, inoltre, non trovi in nessun manuale o corso online come affrontare queste situazioni e uscirne vivo.

I primi tempi ho provato con la via della diplomazia e della gentilezza: rispondevo a tutti i commenti (pubblici e privati) cercando di portare la discussione su un piano costruttivo e avviare un dibattito.

Ma qualcuno più famoso di me ha detto:

Non lottare con i cretini, abbassano la discussione al loro livello e ti battono con l’esperienza

Ed è esattamente quello che è successo. Diverse volte.

Nel 2018 ho invece usato un approccio completamente diverso. Oserei definirlo l’approccio dello “sticazzi” (sticazzi, come lo intendiamo al sud, non nella deriva positiva che ha preso al nord).

In cosa consiste l’approccio dello “sticazzi”? Nell’usare i fantastici mezzi messi a disposizione dai vari social e dalle varie piattaforme. Ho quindi fatto largo uso dei pulsanti “cancella”, “banna”, “nascondi”, “segnala” e tutti i vari derivati.

All’inizio, forse perché non abituato, mi sembrava strano e quasi sbagliato, poi però mi sono reso conto che ogni minuto risparmiato in una discussione stupida è un minuto dove posso fare qualcosa per me o per i miei utenti.

Ora non ci penso due volte, quando intercetto un commento di questo tipo lo elimino e passo a fare cose serie.

Addio fegato amaro 😉

3. La generosità paga

Se leggi questo blog da un po’ di tempo sai che il tema della generosità è sempre stato uno dei miei preferiti.

È da anni che batto su questo chiodo perché sono fortemente convinto che essere generosi sia la migliore strategia da utilizzare, sia online che offline, indipendentemente dal proprio business e dal proprio settore.

Però c’è da dire che una cosa è avere un’idea della generosità e delle sue conseguenze e ben altra cosa è applicarla concretamente e vederne i frutti.

Ebbene, posso dire che il 2018 è stato l’anno dove ho iniziato a raccogliere questi frutti. Non che in passato non sia successo, sia chiaro, ma nel 2018 il fenomeno è cresciuto esponenzialmente.

Qualche esempio?

Un libro diventato best-seller Amazon, che ha avuto diverse ristampe, è stato adottato in varie università, ha avuto una marea di recensioni e che continua a darmi soddisfazioni. Un evento che è diventato il punto di riferimento in Europa nel settore, con ospiti da tutto il mondo e partecipanti da tutta Italia. Workshop, seminari e talk che fanno il tutto esaurito in tutta Italia. E tanto altro ancora.

Ma la vera soddisfazione va aldilà della questione puramente numerica ed economica. La vera soddisfazione è nelle vostre recensioni, nelle vostre foto, nei vostri post, nelle vostre facce soddisfatte e in tutte le volte che mi dite che si percepisce l’impegno dietro alle mie cose, la ricerca continua della qualità, l’attenzione per i dettagli e così via.

Ecco, ogni volta che mi dite una cosa del genere capisco che il messaggio viene recepito e che la generosità nel lungo periodo paga sempre.

E che quindi devo continuare su questa strada.

4. La fuffa si combatte con la qualità

Nel post dello scorso anno il punto sulla fuffa fu probabilmente il più controverso.

Dicevo che “se ti lamenti della fuffa forse ne fai parte” e qualcuno si lamentò (ma guarda un po’?!) dicendo che non era vero, che la fuffa andava combattuta a tutti i costi, e così via.

Ammetto con dispiacere che ho visto questo trend gonfiarsi ancora di più nel 2018. I post contro il nemico immaginario (che ricordano un po’ le canzoni dei rapper contro i “rapper scarsi”) continuano a proliferare sui social media (LinkedIn in primis) con risultati decisamente dubbi.

I post dove ci si lamenta in maniera generica del cattivo di turno non servono assolutamente a nulla, se non a gonfiare l’ego dell’autore con una scarica di like e una spolverata di commenti d’approvazione.

In che modo un post del genere può combattere questa fuffa? Me lo immagino il fuffarolo dall’altro lato dello schermo che legge il post del guru di turno e pensa “ah cavolo, questo ha proprio ragione, da domani smetto e mi trovo un lavoro serio”.

Se in passato il fastidioso trend era composto solo da post che inveivano contro gli anonimi fuffaroli, negli ultimi tempi ho visto comparire sempre più spesso i post accompagnati da screenshot per favorire la gogna pubblica (e aumentare, ovviamente, l’engagement del post).

Credo che fare uno screenshot di qualcosa ricevuto in privato e postarlo in pubblico sia una delle cose più terra terra che si possa fare sui social. E poco conta se viene coperto il nome dell’autore per rendere il tutto “anonimo”. La ricerca dell’approvazione degli altri, della risata di gruppo, del like facile è triste. Molto triste.

La fuffa si combatte creando un’alternativa. Un’alternativa di qualità.

I tuoi competitor sparano cazzate dalla mattina alla sera? Bene, cogli l’occasione di differenziarti da loro con dei contenuti stellari che non possono passare inosservati. Cal Newport direbbe “sii talmente bravo che non possono ignorarti”.

Non è piagnucolando online che si contrasta l’avanzata di questi signori, ma sommergendoli con la qualità.

Altrimenti stai solo contribuendo a creare rumore di fondo.

5. I copioni possono diventare uno stimolo

Parallelamente ai fuffaroli, esiste una categoria più “soft” che fa meno danni, che passa inosservata e di cui si parla molto poco: i copioni. Si, intendo quelli che ti copiano le cose.

Attenzione, io sono un grande fan del non reinventare la ruota (è un principio fondamentale del Growth Hacking) e del saper rubare da altri. Ma una cosa è rubare (prendere spunto + mixare + metterci del proprio) e cosa ben diversa è il copiare e basta.

Durante il 2018 ho scoperto che i copioni (e in parte anche gli hater, lo ammetto) possono diventare uno stimolo incredibile, se la questione viene presa nel verso giusto.

All’inizio mi avvilivo nel trovare in rete cloni identici del mio blog, contenuti copia-incollati dai miei, stesse frasi, stesse immagini, persino stesse battute…

Poi in realtà questa situazione è diventato uno stimolo. Uno stimolo incredibile.

In maniera molto simile al punto precedente, ho fatto una riflessione tra me e me e mi sono detto “non posso andare da Tizio e dirgli di cambiare il blog o sputtanare Caio pubblicamente per aver copiato questa cosa, ma quello che posso fare è… fare qualcosa in più, fare qualcosa di meglio”.

Ed è bellissimo. Disarmante sulle prime, ma bellissimo.

Mi sono reso conto che senza i copioni mi sarei seduto sugli allori e mi sarei rilassato sulle cose che funzionavano, nella mia zona di comfort del marketing. E invece grazie a loro ho avuto la spinta a fare di più, a fare cose nuove.

Ad alzare l’asticella.

E proprio da quello stimolo è arrivato il sito nuovo e tante altre piccole novità che annuncerò nel corso del 2019.

6. Viaggiare è il vaccino contro la stupidità

Qui potresti dirmi “che centra viaggiare in un post che parla di business?”. Beh c’entra e come!

Negli ultimi anni sto viaggiando tantissimo per lavoro (30-40 aerei all’anno) e di conseguenza visito tante città, vedo molte aziende, incontro imprenditori, professionisti e studenti di tutta Italia.

Ognuno con una storia diversa, con un’esperienza diversa e con un bagaglio di successi e insuccessi diverso. Da ognuna di queste persone ho imparato qualcosa, indipendentemente dall’età, dal ruolo e dall’esperienza.

Il ragazzino col fuoco dentro ti ricorda come è avere 20 anni e la cazzimma di voler spaccare il mondo e l’imprenditore di 65 ti ricorda cosa significa far sopravvivere un’azienda a delle crisi.

Ma più di ogni cosa, confrontarsi con gli altri è un incredibile antidoto alla stupidità… che di questi tempi non è cosa da poco.

Cosa intendo dire? Intendo dire che finché rimaniamo nelle quattro mura della nostra zona di comfort, nel nostro ufficio con i nostri soci, i nostri dipendenti o i nostri collaboratori, siamo sempre convinti di essere i più fighi.

I più forti, quelli che stanno rivoluzionando il mercato, quelli con l’idea pazzesca, quelli che faranno il botto, quelli che sanno tutto.

E non c’è nulla che rallenti la crescita (personale e lavorativa) quanto il darsi le pacche sulle spalle e autoconvincersi di queste cose.

La verità è che lì fuori c’è un mondo che la pensa diversamente da noi, che non ci conosce o, peggio ancora, che ci conosce e ci ignora. Un mondo fatto di clienti, competitor, partner, fornitori, investitori e chi più ne ha più ne metta.

Meno parliamo con queste persone e più stupidi rimaniamo.

7. Le newsletter non sono morte

Eh no. Così come non è morta la SEO, non sono morti i blog e tanti altri strumenti e canali che ogni anno vengono dichiarati morti, non si sa perché, da qualche pseudo esperto di turno.

Nel 2018 ho fatto tantissimi test sulla mia newsletter, li ho fatti a porte chiuse, su una lista molto piccola, con una frequenza altissima e ho imparato tantissimo.

(Devo ammettere che da questo punto di vista la GDPR è stata una manna dal cielo)

Verso settembre 2018 la newsletter ha preso quindi una forma completamente diversa dal passato e mi sta dando incredibili soddisfazioni. Ho trovato una forma più o meno definitiva (anche se continuerò a testare) e nel corso di questo anno farò un paio di annunci a tal proposito.

In un momento storico nel quale i social media cambiano algoritmi di continuo, c’è sempre meno reach organica, dobbiamo investire sempre di più sulla pubblicità e abbiamo sempre meno controllo dei nostri contenuti, i canali owned sono sempre più importanti. Non a caso stiamo vivendo una seconda ondata di podcast…

paid earned owned e shared media

La mia newsletter è quindi diventato un ottimo punto dove aggregare contenuti che durante la settimana spalmo su diverse piattaforme, con l’aggiunta di qualche piccolo extra: notizie in anteprima, sconti su eventi, raccolta feedback, e così via.

È diventato una sorta di community nella community. Tutto un po’ più intimo, tutto un po’ più lento, tutto un po’ più curato.

8. Parlare a un TEDx è una cosa bellissima

Che dici, pure questa è ovvia?

Per una persona che fa public speaking ci sono alcuni palchi e alcuni brand che si portano dietro un fascino incredibile. TEDx è uno di questi, c’è poco da fare.

E non è una cosa che penso solo io, tutte le volte che mi sono confrontato con amici e colleghi che parlano in pubblico mi hanno confermato la stessa cosa: prima di salire sul palco di un TEDx ti tremano le gambe e ti si secca la gola

Parlare a un TEDx è una cosa bellissima per diversi motivi, alcuni dei quali sono molto simili a quelli che ho descritto quando ho raccontato come è scrivere un libro.

Nel momento in cui scrivo questo post il mio talk ha oltre 45.000 visualizzazioni (nessun mio video su YouTube ha raggiunto queste cifre), decine di commenti e oltre 1.600 like.

Dopo diversi mesi dalla sua pubblicazione posso dirlo senza problemi: è diventato un canale di acquisizione.

A tutti i livelli, dalle persone che semplicemente mi aggiungono sui social per complimentarsi o per discutere del tema, fino alle aziende che dopo aver visto il video mi coinvolgono per attività di consulenza, di formazione o, meglio ancora, di public speaking.

Se escludo il mio libro, poche altre attività mi hanno portato risultati concreti in così poco tempo. Salire su quel palco è stato entusiasmante e lo rifarei altre mille volte!

Conclusione

Siamo arrivati alla fine del listone. Spero che tra gli otto insegnamenti ci sia qualche spunto interessante per te, per i tuoi progetti e per il tuo business.

Sicuramente avrò dimenticato qualcosa e sicuramente qualcuno di questi punti in futuro potrà essere rivisto o, perché no, contraddetto. Il bello di continuare a imparare dovrebbe essere proprio questo, no? 😉

E tu? Quali sono le lezioni che hai imparato durante lo scorso anno? Parliamone nei commenti!

 

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Chi Sono

raffaele gaito bio

Sono un Growth Coach,
autore, speaker e blogger.
Attraverso il Growth Hacking guido le aziende a migliorare i loro prodotti e i loro processi con l’ausilio dei dati, degli esperimenti e del pensiero laterale.
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