Marketing virale: definizione ed esempi

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Riepilogo sul marketing virale

  • Il marketing virale è la versione moderna del caro vecchio passaparola.
  • La viralità non esiste, è qualcosa di studiato a tavolino.
  • Gli utenti hanno un ruolo fondamentale nel processo di viralità.
  • Non si può pensare di fare qualcosa di virale senza pianificazione e senza budget.

Introduzione

Avrai sicuramente sentito parlare o intercettato sui social qualche contenuto definito virale, di quelli, cioè, che si diffondono così velocemente e capillarmente che in pochi giorni sono sulle bacheche/bocche di tutti, ispirano parodie e, addirittura, alimentano le consuete chiacchiere da bar o da macchinetta del caffè.

Cosa significa marketing virale

Per definizione il viral marketing (la cui traduzione non è altro che marketing virale) si basa su qualcosa che si diffonde velocemente e senza controllo. Si tratta dell’insieme di tutte quelle attività non convenzionali, più o meno prevedibili e pianificabili, che hanno lo scopo di attivare la condivisione tra gli utenti.

Negli anni spesso il Growth Hacking è stato confuso con il marketing virale proprio perché parecchi casi studio famosi hanno fatto leva su meccaniche di viralità per ottenere una crescita vertiginosa (Dropbox, Evernote, Snapchat e tanti altri). Ne ho abbondantemente parlato anche nel mio primo libro, proprio per eliminare qualsiasi dubbio.

Ma cosa significa di preciso viralità? Come e quando un prodotto o un contenuto diventa virale? E, soprattutto, perché dico sempre che la viralità è “un mito”?

Sono stati scritti decine di libri e centinaia, se non migliaia, di articoli cercando di rispondere a queste domande. Una delle definizioni più vecchie che si trovano in rete di “marketing virale” è stata data da Usa Today nel 2005 (quindi prima del boom dei social media) e dice:

Il marketing virale è l’equivalente digitale del caro vecchio passaparola. Una strategia che punta a creare una storia o un messaggio che si diffonda da solo sul web, proprio come un virus.

Ecco, una campagna di marketing virale ha proprio questo obiettivo: essere visibile a un numero quanto più ampio possibile di persone e coinvolgerle in un processo di passaparola in modo che siano esse stesse a promuoverne la diffusione.

marketing virale significato

Come funziona il marketing virale

Attento però: per quanto questi processi di propagazione sembrino spontanei e naturali, sono pochissime le volte in cui lo sono davvero, per la maggior parte degli altri casi le campagne di marketing virale sono pensate e realizzate curando i minimi dettagli.

Avere un’idea geniale e creativa, dunque, non è tutto. Occorre prevedere su quali canali sarà lanciata, come sarà strutturata, se sarà collegata a un’azione offline oppure vivrà interamente sul web, come saranno coinvolti gli utenti.

Ricordati che il significato del marketing virale sta proprio nell’engagement generato nel pubblico, che diventa parte attiva della strategia, generando un altissimo volume di conversazioni intorno al prodotto o al servizio che stai spingendo.

Jonah Berger nel suo libro Contagioso (forse uno dei migliori testi sulla viralità) individua 6 elementi necessari per la viralità usando l’acronimo STEPPS:

  1. Social Currency. Il primo e più importante elemento individuato nelle ricerche di Berger è la cosiddetta social currency (letteralmente “moneta sociale”) ossia la capacità di impressionare gli altri condividendo qualcosa di interessante in anteprima.
  2. Triggers. La social currency da sola non basta, semplicemente perché a volte potremmo essere attratti da qualcosa che vogliamo condividere, ma ce ne dimentichiamo e passiamo oltre. Ecco quindi, che giocano un ruolo fondamentale i trigger (letteralmente “grilletto”) ossia degli stimoli che in qualche modo ricordano alla persona un determinato brand o un certo prodotto.
  3. Emotion. Sembrerà banale dirlo, ma condividiamo qualcosa quando in qualche modo teniamo a quella cosa. Nelle sue ricerche Berger ha notato come le emozioni estreme generano più condivisioni, rispetto a quelle più equilibrate, indipendentemente che si tratti di emozioni positive o negative.
  4. Public. Più una cosa è pubblica e più sarà semplice condividerla. La parola “pubblico” è volutamente generica in questo caso perché include concetti del tipo: facile da trovare, facile da condividere, facile da vedere/leggere/usare, facile da raccontare e così via.
  5. Practical Value. Il quinto fattore definito practical value (letteralmente “valore pratico”) non è altro che la rilevanza, l’utilità concreta di un determinato contenuto o prodotto.
  6. Stories. Fin dai tempi antichi l’uomo ha sempre amato raccontare storie. Oggi la situazione non è cambiata ed è per questo motivo che il sesto e ultimo elemento è proprio stories (letteralmente “storie”) ossia la capacità di fare storytelling su un prodotto, un’azienda, un contenuto o un brand.

Cosa vuol dire fare viral marketing

La prima regola da tenere presente è: non esiste un contenuto che nasce virale.

Ma sicuramente si può fare in modo che lo diventi.

Innanzitutto creando contenuti che emozionino gli utenti: sono decisamente le risate, le lacrime o le riflessioni profonde che ci portano a condividere qualcosa con i nostri contatti.

Subito dopo tieni a mente che non esiste viralità senza budget: promozione sui social, collaborazioni con blogger e influencer, attività di digital PR sono solo alcune delle iniziative che devi prevedere in una strategia di questo tipo.

Cos’è dunque il viral marketing? La perfetta unione di creatività e pianificazione.

Risorse di approfondimento

Se vuoi saperne di più sull’argomento ti invito a dare un’occhiata alle risorse qui sotto:

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