Alla “Scuola di fallimento” si insegna a perdere per vincere

scuola di fallimento

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Qualche settimana fa, grazie ad un amico, sono venuto a conoscenza della bellissima iniziativa Scuola di Fallimento che, come dice il nome, è un’iniziativa con l’obiettivo di insegnare a gestire e affrontare meglio il fallimento. Non come una piaga o uno stigma sociale quanto, piuttosto, come un’occasione per acquisire consapevolezza, maturità e ripartire in modo più efficace.

Intrigato dall’iniziativa ho contattato la fondatrice Francesca Corrado per un’intervista.

Raffaele Gaito: Ciao Francesca, come prima cosa presentati. Chi sei, cosa fai e che background hai?

Francesca Corrado: Ciao Raffaele. Sono una economista ricercatrice che ha fatto di una passione, il gioco, un lavoro.

Ho un dottorato di ricerca in Teorie Economiche, sono stata assegnista di ricerca e poi docente nell’Università di Modena, ho fondato nel 2011 uno spin off universitario presso il Dipartimento di Economia di Modena che è stato liquidato nel 2015 a causa di visioni divergenti tra i soci.

Il mio (apparente) annus horribilis è stato il 2015: a un tratto non avevo più né una società né una cattedra.

Dopo un periodo di frustrazione mi sono detta (posso dirlo?) “ma chi se ne frega, riparto da zero mettendo a frutto tutto ciò che ho appreso in ambiti diversi e riparto da ciò che mi entusiasma: il gioco”!

Ho allora fondato con altri 4 soci Play Res che si occupa di ricerca sul gioco e progettazione di giochi per contesti ludici o non ludici come la formazione. Il nostro obiettivo è quello di promuovere e diffondere la cultura del gioco “sano” in ogni sua forma: di ruolo, di carte, da tavolo, video giochi, simulativi, scientifici.

In particolare progettiamo giochi o sistemi ludici che hanno lo scopo di migliorare le capacità e il benessere degli individui o dei team. Contrastiamo il gioco d’azzardo.

Usiamo il gioco anche in ambito formativo perché pensiamo che il gioco e la simulazione siano i metodi migliori per garantire il pieno apprendimento degli studenti.

R.G.: E ora andiamo subito al sodo e parliamo della scuola di fallimento. Di cosa si tratta?

F.C.: La Scuola di Fallimento è la prima scuola che nasce con lo scopo di insegnare a perdere per vincere attraverso l’uso di metodologie esperienziali, ludiche e immersive come teatro, roleplay e simulazioni, coaching, mentoring, gioco da tavolo.

Nella scuola si analizzano diversi tipi di errori a seconda del target di riferimento. Abbiamo, ad esempio, il corso sull’errore creativo e sulla percezione dell’errore altrui per gli insegnanti, i genitori e i manager; o i corsi sugli errori di rappresentazione, pianificazione e esecuzione per le imprese e le start up.

Quello che facciamo è di mettere a disposizione dei partecipanti ai corsi una cassetta di strumenti teorico – pratici per accogliere, analizzare e abbracciare l’errore.

R.G.: In che modo un progetto come il vostro può impattare concretamente sulle persone?

F.C.: L’impatto maggiore lo otteniamo dalla modalità con cui insegniamo. La trasmissione di conoscenza avviene non mediante lezioni frontali e slide, ma attraverso una esperienza ludica, simulando o giocando.

Tutti i moduli sono in qualche modo “gamificati” e sappiamo, grazie alla neuroscienza, che in questo modo riusciamo ad ottenere la partecipazione attiva e un elevato grado di apprendimento da parte delle persone. Ricordiamo il 10% di ciò che leggiamo, il 20% di ciò che vediamo o ascoltiamo e il 90% di ciò che viviamo attraverso il gioco o la simulazione.

Inoltre la partecipazione al corso è vincolata alla somministrazione di una video intervista in cui cerchiamo di capire qual è il bisogno reale di ciascun individuo in modo da tarare giochi ed esercizi sulle loro specifiche esigenze e sulle loro aspettative.

Abbiamo fatto un lavoro meticoloso, grazie in particolare ad una psicologa e ad un neuroscienziato (Francesca Prampolini e Alan Mattiassi) sui bias cognitivi individuando quelli che appartengono ad uno specifico target (studenti, genitori, insegnanti, imprenditori etc) e a quel particolare gruppo di persone che partecipa di volta in volta ai corsi.

R.G.: Cercando informazioni su di voi in rete ho notato che avete ricevuto una copertura mediatica notevole. Aldilà della visibilità, vi ha portato anche risultati concreti? Se si, in che modo?

F.C.: I risultati possono essere misurati in diversi modi.In termini di partecipazione, il corso del 24 settembre ha raggiunto e superato il numero massimo di iscritti dopo la prima settimana in un mese, agosto, che pensavamo poco adatto per il lancio.

Abbiamo già una mailing list corposa di iscritti a moduli che stiamo mettendo in calendario in questi giorni senza aver ancora messo on line la nostra landing page.

Le persone ci scrivono sui canali social o mandano direttamente una mail dopo aver letto un articolo su un giornale o averci ascoltato in radio.
In termini di collaborazioni, questa visibilità ci ha permesso di portare all’attenzione nazionale anche le attività di Play Res e di avviare collaborazioni con aziende ed associazioni.

In termini di denaro, ogni corso è finanziato da una soggetto pubblico (comune, fondazione, etc) per studenti e ragazzi fino ai 29 anni. Per gli altri e per le aziende il corso è a pagamento.

R.G.: Dimmi qualcosa in più sui corsi, come sono strutturate le vostre attività?

F.C.: Ogni corso si compone di 5 moduli che seguono quello che abbiamo chiamato ciclo dell’errore:

  1. Nel primo modulo facciamo emergere la percezione soggettiva dell’errore.
  2. Nel secondo analizziamo gli errori e i bias cognitivi che appartengono a quel target specifico ovvero lavoriamo sugli schemi mentali che influenzano il nostro modo di pensare e di agire a tal punto da portarci a sbagliare e a compiere gli stessi errori.
  3. Nel terzo lavoriamo sulla consapevolezza dei propri errori.
  4. Nel quarto mettiamo in scena, in maniera leggera e talvolta comica, gli errori per poterli sdrammatizzare. Molto divertenti sono le simulazioni dei colloqui di lavoro o l’esposizione dei pitch di aspiranti startupper.
  5. Nel quinto lavoriamo sulla costruzione di un percorso che porti al successo e al raggiungimento dei propri obiettivi nella consapevolezza che raggiunto l’obiettivo, vecchi o nuovi errori possono minare i nostri piani.

Ogni corso si conclude con una testimonianza di persone “conosciute” o che hanno storie straordinarie da raccontare: chi sbaglia deve raccontare l’errore perché solo condividendo il racconto gli errori si trasformano in fonte di apprendimento comune generando progresso.

Non ci sono slide, in ogni modulo si combinano metodologie e tecniche diverse, infatti i moduli sono co gestiti da game designer ed esperti di gioco, attori, coach, mentor, psicologi e neuroscienziati, alcuni dei quali sono docenti universitari anche essi esperti di gioco.

scuola di fallimento gioco

R.G.: Qual è la reazione degli imprenditori quando vengono a conoscenza della vostra scuola?

F.C.: La Scuola ha acceso un dibattito sul tema del fallimento e dell’errore e numerosi sono gli articoli postati e pubblicati dopo il nostro primo corso.

In ogni caso sappiamo di essere oggetto di apprezzamento rispetto alle modalità con cui insegniamo a perdere per vincere e all’obiettivo, e di discussione rispetto, ad esempio, alla scelta del nome della scuola.

La maggioranza delle persone con una età compresa tra i 18 e i 45 anni comprendere il senso del nome e ci fa i complimenti.

Una minoranza di persone, per lo più imprenditori over 50, associa il fallimento a esperienze negative dovute a fallimenti legati a congiunture economiche negative o a chiusure di attività da parte di imprenditori che dichiarano fallimento per non saldare i debiti e che poi riaprono l’attività magari con la stessa ragione sociale della società dichiarata fallita.

Noi vogliamo costruire una sana cultura del fallimento, una cultura in cui il fallimento non è vissuto come marchio indelebile e l’errore non è considerato uno stigma sociale invalidante ma un viaggio di scoperta di sé, dei propri limiti e dei propri talenti.

Pensiamo che servano regole a tutela degli imprenditori onesti e maggiori controlli per arginare situazioni al limite se non della legalità quanto meno dell’eticità. Il nostro compito però non è incentivare comportamenti imprenditoriali scorretti, ma esaltare la funzione pedagogica dell’errore.

R.G.: Io sono un grande fan di questa tematica e ne tratto spesso sui miei canali. A che punto è la situazione in Italia sul tema del fallimento?

F.C.: Dalla mia esperienza c’è una grande paura di commettere errori e una incapacità di saperli gestire in modo corretto.

Paura che non riguarda solo le persone, di qualunque età e background, ma anche le aziende. Ho incontrato piccole realtà e multinazionali e ciò che li accomuna è la loro avversione strutturale al rischio anche quelle che si dichiarano orientate all’innovazione.

Un controsenso, visto che non puoi innovare senza commettere errori!

E allora capisci che in quei contesti l’innovazione promossa è per così dire di tipo “cosmetico”, più apparente che reale, perché non comporta rischi e cambiamenti radicali.

scuola di fallimento carte

R.G.: Sulla parte teorica ormai si stanno muovendo in tanti per fare sensibilizzazione, ma dal punto di vista pratico, cosa significa accettare il fallimento? Come facciamo a fare uno step in avanti e a passare a qualcosa di concreto, oltre ai buoni propositi e ai proclami?

F.C.: Naturalmente, frequentare la Scuola di Fallimento!
Scherzi a parte, è importante partire da un esercizio di consapevolezza di ciò che suscita in me un mio errore (paura, frustrazione, ansia, disagio, esaltazione, azione, blocco, ecc.) e come reagisco agli errori altrui (li accolgo, li punisco, li vedo come una opportunità, ecc). Questo permette di avere una prima idea sul punto da cui partire e sul comportamento da modificare o assecondare.

Quindi poniti questa domanda, e se conosci la risposta passa al livello 2 altrimenti inizia ad osservare il tuo comportamento e quello altrui per trovare la risposta.

Se sei una persona che tende a rimuginare sugli errori commessi, al primo errore gratificati! E non focalizzarti sui tuoi punti di debolezza, ma su ciò che ti riesce meglio.

Superato il test della percezione si passa a quello dell’analisi.

Una ricerca del 2008 svolta presso l’Università di Harvard ha messo in evidenza che un imprenditore che avvia per la prima volta un’attività imprenditoriale ha il 18% di probabilità di successo, chi ha già fallito ne ha il 20%, chi ha avuto successo ne ha il 30%.

Chi ha fallito quindi non ha probabilità più alte di avere successo a meno che non impari ad analizzare gli errori commessi e dal fallimento non tragga spunti utili per modificare il proprio modo di pensare, di agire e fare business.

Le domande da porsi sono le seguenti:

  • Quali errori commetto sistematicamente?
  • Quali errori dipendono da me e quali da persone o situazioni che sono al di fuori del mio controllo ( mi raccomando non abusare di questo bias, ovvero esagerare con l’imputare ad altri errori tuoi)?
  • Se gli errori dipendono da te cerca le soluzioni (anche più di una) per porvi rimedio, parla con qualcuno che può offrirti un punto di vista esterno, e immagina tutte le possibili opportunità che quell’errore ti offre in termini di crescita personale o professionale. L’errore infatti può essere la via maestra per indicarti chi sei e cosa vuoi davvero.

R.G.: Per concludere, avendo il mio blog un pubblico soprattutto di startupper e imprenditori, qual è un consiglio che ti senti di dare a queste persone sul tema del fallimento?

F.C.: Te ne elenco alcuni che sono poi le nostre regole d’oro!

  • Accogliere gli incidenti di percorso e gli errori senza nasconderli
  • Individuare gli errori ricorrenti e attivare meccanismi di correzione
  • Focalizzarsi non solo sulle politiche e attività ma soprattutto sulla cultura e il clima
  • Assumere collaboratori orientati al rischio
  • Incentivare l’iniziativa individuale facendo leva sulle motivazioni intrinseche (il gioco può essere di grande aiuto!)
  • Allenare le competenze creative: la disponibilità ad assumere rischi, la curiosità e l’immaginazione
  • Creare un ambiente ricettivo al contributo di tutti in cui coesistono gli esploratori e quelli avversi al rischio senza farli lavorare in nicchie separate
  • Lavorare sul gruppo e non sul singolo individuo condividendo un obiettivo ambizioso
  • Sdrammatizzare
  • Mettere in comune le informazioni e condividere gli errori
  • Fallire ancora, fallire meglio!

Ma anche Considerare il successo una tappa e non la destinazione finale. Il fallimento è quasi sempre visto come contrapposto al successo pensando che se hai avuto successo vuol dire che non hai fallito. Questo è un errore: il fallimento non è un’alternativa al successo ma è un requisito per il successo.

Il successo si raggiunge infatti per trial & error la cui funzione è anche quella di testare la capacità di ciascuno di perseverare e di essere determinati nel voler raggiungere quello specifico obiettivo.

Se non lo abbiamo raggiunto forse non ci interessava davvero!

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