Intervista a Vittorio Scarano di UniSA

vittorio scarano di unisa

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L’intervista di oggi in Storie di mindset è atipica perché il protagonista non è un imprenditore, ma un docente universitario: Vittorio Scarano dell’Università degli studi di Salerno.

Alcune di queste interviste sono in formato video e sono disponibili sul mio canale YouTube, ma una piccola parte di esse sono in formato testo e saranno pubblicate su questo blog nelle prossime settimane.

Storie di mindset” è la rubrica che raccoglie le interviste (in formato integrale) che ho fatto per il mio libro Growth Hacking Mindset.

Ora passiamo all’intervista e vediamo se e come certi concetti possono essere utilizzati anche nel mondo della ricerca universitaria.

Raffaele Gaito: Come prima cosa presentati. Chi sei e di cosa ti occupi?

Vittorio Scarano: Sono Vittorio Scarano, professore universitario di Informatica e mi occupo di didattica, ricerca e innovazione tecnologica nel campo dell’Informatica, presso l’Università di Salerno.

Quindi, premetto, non mi occupo direttamente di produzione, anche se “produrre” conoscenza è forse quello che faccio.

R.G.: In università utilizzi le metodologie lean/agile/growth? Se si, come?

V.S.: Partecipiamo spesso a progetti di ricerca, e abbiamo introdotto, dal 2014 esplicitamente (ma anche prima in un altro progetto, in maniera implicita) metodologie agili di sviluppo.

In un progetto di ricerca, dove i requisiti sono ancora più vaghi e dinamici del contesto reale, lavorando con utenti che spesso non hanno bene chiaro neanche i loro bisogni, è davvero fondamentale avere la possibilità di poter fare sviluppo con cicli veloci, agili, che portino i potenziali “utenti” a sperimentare quello che si sta realizzando ogni 2-3 settimane.

Il software che abbiamo prodotto per il nostro progetto europeo (un server collaborativo, social, per cocreare dati) è stato realizzato con oltre 32 diversi rilasci durante un periodo di 30 mesi, su ciascuna delle 4 piattaforme nazionalizzate che avevamo messo a disposizione dei pilot.

E questo è possibile solamente se lavori in maniera agile, con sprint di 3-4 settimane.

È stato divertente, le prime volte che abbiamo iniziato a lavorare così, i partner (non informatici) erano un po’ scettici, poco abituati a interagire con informatici che non facessero, in pratica, waterfall, con una lunga lista di requisiti specificati all’inizio.

Non avevamo spiegato che stavamo scegliendo un’altra metodologia (errore mio, molto grave, me ne rendo conto), e dopo aver lavorato per 6-8 mesi in questa maniera, e i loro apprezzamenti per i risultati notevoli e di immediato utilizzo da parte loro, commentando il fatto che stavamo sperimentando questa metodologia, hanno esclamato “Meno male… e noi eravamo preoccupati che voi steste improvvisando tutto!”

Di recente mi occupo anche della presenza social del Dipartimento, e sto usando il Funnel AAARRR per lavorare.

R.G.: Quanto è importante per voi la sperimentazione? Come la gestite e come riuscite a metterla a sistema?

V.S.: A sistema, ancora una volta, in un progetto di ricerca, significa essere vicino al desiderio inespresso di innovazione che qualcuno dei partner pilota nel progetto può nascondere.

La sperimentazione è l’unica maniera per dare forma a queste richieste di novità, di modalità diverse, anche semplicemente per dire “non è quello che voglio”.

Lo abbiamo messo a sistema fornendo ai nostri utenti remoti la possibilità di fornire feedback continuo, che viene inglobato nel sistema di ticket di GitHub.

R.G.: Cosa significa per te sperimentare?

V.S.: Dare prototipi funzionanti agli utenti. Scoprire quanto odiano/amano ciascuna delle caratteristiche.

Ascoltare. Ascoltare. Ascoltare. E quando hai finito. Ascoltare di nuovo.

R.G.: Raccontami un esempio di esperimento fallito da cui avete imparato qualcosa.

V.S.: Sempre in un progetto di ricerca, una modalità di presentazione di stanze di discussioni, con una visualizzazione grafica interattiva, di cui ero il proponente, e di cui ero follemente innamorato.

Veniva rappresentata da una Treemap 2d, dove la dimensione orizzontale del quadrato rappresentava il numero di utenti nella stanza (e quindi la “ampiezza” della discussione), e quella verticale, rappresentava invece il numero di dataset utilizzati (quindi dal mio punto di vista la “profondità” della discussione).

Bello, no?

Beh, nessuno, nessuno degli utenti ha mai apprezzato questa proposta, alcuni addirittura la trovavano fastidiosa.

In quell’occasione ho imparato che, a volte, i processi mentali degli utenti sono diversi dai miei.

R.G.: Quanto è importante nel tuo gruppo ragionare fuori dagli schemi?

V.S.: È fondamentale!

Per poter fare ricerca devo sempre spingere a pensare fuori dagli schemi e stimolare il mio team a proporre e seguire strade alternative, non tracciate, ma neanche immaginate.

Perché? Dobbiamo pubblicare e confrontarci con il meglio della ricerca mondiale.

Non usiamo nessuna tecnica in particolare. Semplicemente, brevi riunioni, in cui tipicamente parliamo a turno. Fissiamo punti utili raggiunti e prendiamo decisioni (se mature) o ci spostiamo ad un incontro successivo.

R.G.: Che ruolo gioca la multidisciplinarità e come la alimentate?

V.S.: Da ricercatore in informatica, sono stato convinto assertore della multidisciplinarità, sin dall’inizio della mia carriera.

Come adesso è ovvio (tutti i programmi di ricerca e innovazione sono strutturati così a livello europeo, nazionale e regionale), l’informatica è un motore per l’innovazione in contesti specifici, e quindi va calata all’interno di un dominio di applicazione.

Dal 1995, quando ho iniziato a lavorare sul World Wide Web, ho lavorato in collaborazione con esperti di contenuto (all’epoca erano musicisti!) per poter stimolare applicazioni innovative.

Non ho mai smesso.

R.G.: In chiusura, consiglia ai miei lettori un libro che ti è piaciuto particolarmente.

V.S.: Gli insegnamenti de “La storia infinita” (si, quello per ragazzi) sono molto utili!

Perdere la propria razionalità, immergersi nella fantasia, per poi capire che si deve tornare alla razionalità mediata dalla creatività, mi sembra una buona lezione.

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