9 cose (di business) che ho imparato nel 2019

lezioni 2019

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Introduzione alle lezioni del 2019

Come ormai da tradizione, anche quest’anno voglio buttare giù due righe sull’anno che si è appena concluso e sulle lezioni di business (e non solo) che mi sono portato a casa.

Alcune di queste lezioni sono state delle vere e proprie novità, dei fulmini a ciel sereno, mentre altre molto probabilmente erano lì che covavano da tempo e poi sono esplose nel corso dei mesi appena conclusi.

In un modo o nell’altro sono cose che per me hanno avuto una certa importanza nel corso del 2019 e che quindi mi sento di condividere pubblicamente nella speranza che qualcuno di questi spunti possa accenderti una lampadina.

Alcuni potrebbero sembrarti ovvi o banali, e se così fosse ti ricordo che l’ovvio non esiste e che nello stesso post del 2017 affermavo che meno cose diamo per scontato e meglio è.

Che la lista abbia inizio!

1. Scrivere libri è un super potere

Non è la prima volta che tra il blog e i miei video parlo della bellezza di scrivere libri.

In questo paragrafo non ho intenzione di ribadire i concetti già espressi in passato. Vorrei, piuttosto, concentrarmi su una cosa che ho capito poco dopo la scrittura del secondo libro. Anzi, poco dopo che fosse finito nelle vostre case, nelle vostre mani.

Ho sempre creduto che i ringraziamenti non interessassero ai lettori e così quando ho scritto il mio primo libro ho pensato di lasciar perdere e di non ringraziare nessuno. All’epoca non immaginavo che ne avrei scritti altri, ma la cosa più importante che mi sfuggiva è che i ringraziamenti sono fondamentali per due categorie di persone: chi viene ringraziato e l’autore stesso.

Serve per ricordarmi che se faccio quello che faccio è perché lungo la strada ho incontrato delle persone che in un modo o nell’altro mi hanno aiutato a essere qui. A volte in maniera diretta e altre in maniera involontaria.

E in tutto questo che c’entrano i super poteri?

Mentre scrivevo il secondo libro è venuta a mancare mia nonna, una delle persone più importanti della mia vita, e mentre stavo buttando giù i ringraziamenti mi è venuta un’illuminazione.

Posso fermare le cose nel tempo e lasciarle lì per sempre.

Così ho deciso di usare questo potere per conservare per sempre il suo ricordo inserendola, appunto, nei ringraziamenti del secondo libro.

Se ci rifletto seriamente è una cosa fantastica che non tutti possono fare.

La cosa più bella di tutte è il ricevere continuamente messaggi di persone che sono rimaste colpite dai ringraziamenti e che mi confessano, addirittura, di essersi commosse.

E io che pensavo i ringraziamenti non li leggesse nessuno…

2. Nel marketing bisogna essere agnostici

Ringrazio il mio amico Matteo Aliotta per aver dato forma con queste parole esatte a un’idea che mi gironzolava in testa da un po’, ma che non avevo mai definito per bene.

Mi sono sempre sorpreso nel vedere colleghi approcciare con forti pregiudizi piattaforme, strumenti, strategie o altro.

“TikTok è per ragazzini”, “I nutella biscuits saranno un flop”, “Ecco i 10 errori della comunicazione di Taffo” e chi più ne ha più ne metta.

Non trovi che sia paradossale?

Questo è un lavoro nel quale c’è una sola certezza: non ci sono certezze!

Bisogna testare sempre. Tutto. E poi guardare i dati.

Rifiutare qualcosa per partito preso è l’atteggiamento più sbagliato che si possa avere. Se questo vale in generale, è ancora più importante per chi lavora nel marketing e chi si occupa di digitale.

Il digitale che cambia le regole del gioco ogni 6 mesi, diamine.

E sul serio vogliamo permetterci la presunzione di giudicare una cosa senza conoscerla? Senza averla provata? E soprattutto senza averla contestualizzata?

La verità è che molti di questi personaggi erano quelli che dicevano “Facebook è per studenti”, “Instagram è per i fotografi”, “LinkedIn è per chi cerca lavoro”. Poi sappiamo come è andata a finire.

Meno supposizioni, più esperimenti.

3. La sperimentazione non serve solo per crescere

Se c’è un concetto che è maturato dentro di me negli ultimi 2-3 anni e ha poi preso una forma perfetta nel corso del 2019 è sicuramente questo:

la sperimentazione non è (più) solo una questione di crescita.

È una questione di sopravvivenza, di evoluzione, di trasformazione.

Dimmi pure che la mia è una visione darwiniana del business, ma è la verità. Nel contesto di oggi sperimentare è l’unica chiave per avere una chance. Per cambiare al ritmo dei cambiamenti del mercato.

Avrai notato questo cambio di focus se hai letto entrambi i miei libri sul Growth Hacking, ma in realtà è un trend presente a tutti i livelli e che poco tempo fa ha sottolineato lo stesso Sean Ellis in un’intervista.

Le aziende, di ogni tipo e dimensione, hanno bisogno di processi di sperimentazione ben definiti e collaudati che gli consentano di innovare di continuo. Ne va della loro sopravvivenza.

4. Avere un pensiero critico è un vantaggio competitivo

Immagino avrai notato anche tu nel 2019 il proliferare di contenuti copia-incolla, di mezzucci da quattro soldi per accaparrare like e di un approccio sempre più settario (e dogmatico) a certi temi del marketing, del business e dell’innovazione.

Che cosa paradossale!

In uno scenario del genere c’è sempre di meno da fidarsi di “guru” ed “esperti” vari e fare affidamento su una soft skill che sembra passata di moda: il pensiero critico.

Chiedere il perché delle cose. Andarsi a cercare le fonti. Mettere in dubbio le certezze (proprie e degli altri). Sfidare l’autorità.

Se oggi fai qualcuna delle cose che ho appena elencato sei un alieno e sei 10 anni avanti alla media. Ecco perché lo definisco un vantaggio competitivo.

Perché è a tutti gli effetti uno strumento che ti consente di lavorare meglio. E forse anche di vivere meglio.

5. Le aziende devono puntare sul customer care

E qui un “grazie al cazzo” ci starebbe tutto.

Però la cosa non è così banale come sembra. Non lo è quasi mai.

In un momento storico nel quale il customer care è visto da molte realtà come un peso, un costo, qualcosa di cui liberarsi (dare in outsourcing?), io credo che possa diventare un vantaggio competitivo. Io credo che bisogna coccolare i propri clienti!

Anzi, esagero. Ti dirò di più, io credo che il customer care possa essere messo al centro del processo di sperimentazione e possa diventare la chiave per la trasformazione e la crescita di un business. Di qualsiasi tipo esso sia.

In fin dei conti le persone che fanno assistenza clienti sono le più importanti in azienda e sono quelle che hanno accesso alle informazioni più rilevanti.

Rispondono alle telefonate dei clienti incazzati. Si beccano gli insulti sui social. Leggono le email kilometriche di lamentele e suggerimenti. E chi più ne ha più ne metta.

Quale manager, programmatore, marketer o altre figura in azienda ha un polso della situazione di questo livello? Probabilmente nessuno!

Questo è un tema che ho solo accennato nel corso dello scorso anno (anche con qualche paragrafo sul mio nuovo libro), ma sul quale penso di tornare in dettaglio nei prossimi mesi.

6. C’è disperato bisogno di figure umanistiche

Ogni volta che scrivo su LinkedIn che le aziende hanno bisogno di filosofi si scatena il finimondo.

E io adoro quando succede. Se mi leggi da un po’ sai che sono un provocatore e che credo nella provocazione come strumento.

Questo tema è complesso ed è impossibile da esaurire in un paragrafo di questo post, ma prometto di tornarci più avanti con qualche contenuto dedicato.

La riflessione che voglio fare in questa sede è che più andiamo in una direzione fatta di intelligenza artificiale, automazioni, bot, algoritmi e tecnologie di questo tipo e più abbiamo bisogno di figure umanistiche.

Vogliamo veramente lasciare il nostro futuro in mano a ingegneri e informatici? (e lo dico da informatico)

Penso che le questioni etiche che si stanno sollevando possano essere gestite al meglio solo se iniziamo ad affrontarle con un approccio olistico e multidisciplinare.

Ci sono domande le cui risposte hanno bisogno di filosofi, psicologi, sociologi, antropologi e altre figure di questo tipo.

La cosa è seria. Serissima.

Se per un attimo la smettessimo con questo onanismo digitale e frenassimo il nostro tecnoentusiasmo “a prescindere”, ci accorgeremmo che tocca prendere una serie di decisioni che impatteranno il nostro futuro e quello dei nostri figli.

È di questo che parlo quando dico che dobbiamo far sedere i filosofi ai tavoli dei nostri team tecnici.

Ma a quanto pare c’è chi preferisce guardare il dito.

7. Dobbiamo raccontare storie italiane

Nel mio ultimo libro ho inserito casi studio italiani, 25 in tutto. Aziende di varie dimensioni e vari settori che lavorano con i dati con la sperimentazione e usano il pensiero laterale.

Inoltre i contenuti integrali di queste interviste li sto rilasciando un po’ alla volta (in formato video e sul blog) come contenuti extra del libro.

Non avrei mai immaginato che potessero piacere così tanto!

È una delle cose che mi dite più spesso nei messaggi privati e che trovo più di frequente nelle recensioni che lasciate su Amazon (insieme a “è un libro da scrivania”).

Avevo fatto questa scelta durante la stesura del testo perché volevo rendere l’argomento molto più concreto, contestualizzarlo al mercato italiano e raccontare storie di aziende che non avessero la sede a Mountain View e Menlo Park, ma a Pescara e Crotone.

Volevo che gli imprenditori potessero pensare “se lo fanno loro lo posso fare anche io”.

Questo è successo, ma in realtà è successo anche altro. Ed è quest’altro che mi ha sorpreso e mi ha acceso una lampadina, ma una lampadina bella grossa.

Mi sono reso conto che c’è una sete enorme di storie italiane, ma che siano raccontate senza markette, senza le copertine patinate delle riviste del settore e, perché no, ogni tanto con qualche aspetto tecnico di cui non si parla mai.

Ce n’è bisogno come il pane.

Raccontiamolo. Anzi, raccontatevi.

Se sei una realtà di questo tipo non sottovalutare questo aspetto. Non è pura vanità, non è autocelebrazione. È costruire un ecosistema, è costruire fiducia intorno a un ecosistema.

E, cosa più importante di tutte, è il modo migliore che hai per attirare talenti.

Che lì fuori ci sono, ma spesso non sanno che esisti.

8. La fragilità non è una debolezza

Questo forse è la più personale delle nove lezioni, ma è anche quella a cui tengo di più.

Nei due anni precedenti ho parlato spesso di come mi pesasse avere degli hater e di come pian piano mi stavo abituando a gestire questo fenomeno dell’odio online, dei commenti negativi e della cattiveria gratuita.

Quello che ho realizzato quest’anno, e ti giuro che è stata una manna dal cielo, è che l’unico modo che ho per non impazzire se voglio continuare a fare contenuti è quello di mostrarmi per quello che sono.

Sì, lo sappiamo tutti che sui social non si racconta il 100% della verità, che su Instagram mostriamo solo quello che vogliamo far vedere e così via. Ma sta cosa fa male. A tutti. E dobbiamo arginarla in qualche modo.

E quando ho iniziato ad inserire in qualche mio video o qualche mio post, in punta di piedi, qualche aspetto più introspettivo di me ho visto che è stato molto apprezzato.

Qualcuno si è addirittura sorpreso. Un altro bel paradosso eh? Sorprendersi perché in fin dei conti anche i blogger e gli YouTuber hanno un cuore, un’anima. Si sentono a pezzi, si stressano da morire, c’hanno l’ansia e di notte sono tormentati dai loro demoni.

Quindi una delle decisioni più importanti (e più belle) di questo 2019 è stata quella di far emergere più spesso aspetti di questo tipo del mio carattere. Non so come e in che quantità, ma un po’ alla volta lo sto facendo.

E ti giuro che mi sento molto meglio.

Piccola parentesi: negli ultimi tempi, con mio piacere, ho visto anche grandi nomi di YouTube (Shy, Wesa e GioPizzi, per citare i primi che mi vengono in mente) fare cose del genere. È un ottimo segno.

9. Studiare i bias cognitivi è importantissimo

Una delle lezioni più importanti dello scorso anno è quella sui bias cognitivi.

Il tema mi ha sempre affascinato, ma non l’ho mai approfondito tanto quanto nell’ultimo anno.

Uno potrebbe pensare che studiare i bias sia importante per vendere meglio, essere un imprenditore o un marketer migliore, ma non è così. Non è questa la lezione che voglio condividere.

Sai qual è la cosa più interessante?

Che più studi i bias e più ti ridimensioni. Ti rendi conto che in fin dei conti il cervello ci prende per il culo. Che noi stessi ci prendiamo per il culo. E succede a tutti, anche se hai quattro lauree.

Cadiamo tutti nelle stesse trappole cognitive.

Questa cosa ha avuto un enorme impatto anche sulla mia capacità di empatizzare con gli altri quando sono in disaccordo.

A un certo punto ho avuto una sorta di epifania e ho iniziato a guardare con occhi diversi tante conversazioni (sia online che di persona) fatte negli ultimi tempi.

Mi sono ridimensionato tantissimo perché mi sono reso conto di quanti bias subisco ogni giorno senza manco accorgermene. Sapere che questa cosa succede di continuo ha reso tutto ancora più relativo, semmai ce ne fosse bisogno.

Conclusione sulle lezioni del 2019

Ci siamo, il listone è finito.

Ho sempre trovato più utile e più liberatorio fare la lista delle lezioni che ho imparato, invece della lista dei propositi per l’anno nuovo.

Spero che sia utile anche per te.

Spero che in mezzo a tutte queste mie pippe mentali ci sia qualche spunto di riflessione utile per il tuo lavoro o il tuo progetto.

Ti auguro un 2020 ricco di sperimentazione!

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