L’esame che mi cambiò la vita

esame

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Un 18 e un 23. Così era cominciata la mia specialistica, con due voti di merda.

Ricordo che all’esame di TC mi avevano già bocciato un paio di volte. Non ricordo manco più la sigla TC cosa stesse a significare. Teoria della Computazione, forse.

Avevo seriamente deciso di ritirarmi dall’università e quella era l’ultima volta che ero disposto a provarlo.

I miei amici lo superavano tutti, mentre io in classe non ci capivo un cazzo. La prof spiegava e a me sembrava arabo. Non riuscivo ad afferrare i concetti. Ascoltavo, prendevo appunti, poi tornavo a casa e non ricordavo nulla.

Mi sentivo stupido e arrivai seriamente a pensare di esserlo. Di non essere in grado di capire quelle cose, di non essere portato, di aver voluto fare il passo più lungo della gamba.

“La specialistica non fa per me”, fu la conclusione a cui arrivai.

Decisi però di provare un’ultima volta TC e di prepararlo bene. Di fermare tutto il resto e chiudermi a studiare seriamente quell’unico esame.

“Se non lo supero mi ritiro”, fu la decisione che presi a malincuore.

Il giorno dell’orale in aula eravamo meno di una decina. La prof aveva la nomea di essere “una tosta” e l’esame di essere “di quelli che fa ritirare la gente”.

Ci fece sedere tutti in prima fila, a meno di un metro dalla cattedra. Ci mise un foglio davanti e iniziò a fare alcune domande chiedendo approfondimenti o dimostrazioni di esercizi che avevamo svolto allo scritto.

Allo scritto non me l’ero cavata male e a quel punto ero convinto di superare anche l’orale. Magari con un altro voto basso, ma meglio di niente.

Poco dopo l’inizio dell’esame, nel momento più importante, andai nel panico. Sapevo di conoscere la risposta, ma l’ansia prese il sopravvento. Sudavo, tremavo e vedevo scorrere via quella possibilità.

Sudore, tachicardia, mani fredde.

Finii in un terribile circolo vizioso nel quale più pensavo di non farcela e più mi impanicavo. Ovviamente più mi impanicavo e più la penna rimaneva ferma.

Mi avrebbe bocciato di nuovo e io mi sarei ritirato. Forse, in fin dei conti, la specialistica era veramente troppo difficile per me.

Davanti al foglio in bianco la prof mi incalzò dicendo che iniziava a dubitare del mio scritto. Che forse non era farina del mio sacco. Che se l’avevo fatto allo scritto avrei dovuto saperlo dimostrare anche all’orale.

Sudore, tachicardia, mani fredde.

Feci un grosso respiro e le chiesi un altrettanto grosso favore.

“Prof credo di conoscere la risposta, ma sono bloccato. Ho studiato duro per questo esame e posso dimostrarglielo. Sono talmente teso che non riesco a scrivere nulla. Posso mettermi in un banchetto in fondo all’aula da solo e ragionarci qualche minuto?”

Mi guardò, mi concesse il beneficio del dubbio e mi disse di sì.

Probabilmente stavo avendo un attacco di panico, ma non sapevo si chiamasse così. Noi la chiamavamo “cagarella da esami”.

Sudore, tachicardia, mani fredde.

Arrivato in fondo all’aula passai metà del tempo a respirare e riprendere il controllo. L’altra metà del tempo la usai per completare la dimostrazione.

Che si rivelò corretta.

Così come quella dopo. E quella dopo ancora. E quella dopo ancora.

La prof si sorprese e si complimentò allo stesso tempo. Aveva sospettato che stessi inscenando il tutto per cavarmela in qualche modo, ma si ricredette con piacere.

30.

Quell’esame cambiò tutto. Tutti gli esami successivi furono 30.

Ma la cosa più importante che successe quel giorno fu acquisire una certa consapevolezza.

Capii che non ero stupido, ma mi impegnavo poco. Capii che non ero meno bravo, ma studiavo male. Capii che la specialistica non era impossibile, ma dovevo affrontarla diversamente.

Non ho più rivisto quella professoressa e non riesco manco a ricordare come si chiamasse, ma quel giorno lei mi cambiò la vita.

Dandomi quella piccola possibilità, quei 10 minuti in fondo all’aula, mi fece imparare una cosa. Una delle lezioni più importanti di sempre. Una lezione che mi guida ancora oggi.

Che non era questione di esami impossibili. O di materie difficili. O di prof tosti.

Non dipendeva dagli altri, dipendeva da me.

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