Come Presentare La Tua Startup A Giornalisti e Blogger

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Guest post di Arcangelo Rociola, giornalista e managing editor di AGI.

Introduzione

Spesso criticata, a volte pure giustamente, ma l’attenzione mediatica piace.

Un po’ a tutti.

Un po’ indistintamente.

Dopo anni di reporting per StartupItalia mi sono guardato un attimo indietro per scrivere questo post.

Partiamo dai numeri.

Abbiamo pubblicato circa 1500 articoli che riguardano startup, ne abbiamo raccontate circa 1000 diverse, abbiamo ricevuto circa 5000 email di segnalazioni e news (dai bandi a quelle che sono poco più che un’idea fino primi round di investimento a doppia cifra). Ogni giorno, in media, arrivano in redazione circa 100 “notizie” e, credimi, aumentano sempre di più.

Quando Raffaele, dopo una chiacchierata con un po’ di startup a LuissEnlabs, mi ha detto: “Ehi Arca ma perché non mi racconti cosa vuoi che le startup ti dicano per attirare l’attenzione di un giornalista?!” è stato un po’ come rimettere le cose in ordine.

Rendere parola un processo mentale di setaccio che non è stato facile ricostruire.

Scrivere di startup è complesso. E’ una nicchia, fatta di gente spesso ingambissima, che 9 volte su 10 ne sa più di te. Perché sono imprenditori. Si muovono sulla frontiera difficile e mutevole dell’innovazione. E raccontare la vita, le aspirazioni, le idee, le tecniche di chi fa impresa in questo settore, credimi, è scivolosissimo. E’ una palestra continua, fatta di cose che azzecchi, che sbagli, complimenti ricevuti e critiche.

Cercherò di elencare le cose che mi colpiscono. Motivandole con qualche aneddoto personale.

Stai fatturando… vero?

Prima di cominciare ad occuparmi a tempo pieno di startup, la mia formazione come giornalista (tra stage e prime collaborazioni) l’ho fatta in un po’ di quotidiani economico-finanziari.

Quello che mi colpisce di chi fa impresa, sempre, è la capacità di creare valore. Tradotto: soldi e lavoro. “Alzati e fattura” dice una bella immagine che ho visto sulle bacheche di qualche founder diverse volte.

Ecco quello che mi colpisce più di tutto forse è proprio la capacità di chi fa impresa di crearsi un mercato di riferimento, ancora più difficile e mirabile di chi fa impresa su quella frontiera infinitamente mutabile che è l’innovazione.

Se mi racconti questo, la creazione di un mercato dove non c’era, early adopter, primi contratti o grandi fatturati, beh, è facile, potrei starti ad ascoltare all’infinito.

Ah, non mentire.

Mi è capitato diverse volte di accorgermi che sui numeri mi si è mentito. E ne ho scritto, pubblicamente, senza troppe remore.

Ma, alla fine, l’idea conta o no?

Non tutte le startup di cui abbiamo scritto avevano già cominciato a fatturare.

Una volta abbiamo scritto di una startup che aveva trovato un modo per ripensare il valore dei curriculum non per la loro lunghezza me per la capacità del candidato di avere un’idea.

Per me quell’idea cambiava un paradigma dato quasi per scontato. Mi piacque e ne scrissi.

Erano due ragazze, avevano cominciato da poco, ed erano ai loro primi contratti. Il pezzo fu visto da 20mila persone (due anni fa per il nostro sito erano un bel po’) e qualche settimana dopo mi scrissero per ringraziarmi perché quell’articolo aveva portato loro un altro contratto.

Ciò che riguarda temi di largo interesse (lavoro, vacanze, cibo, gaming, scuola, soldi) ovviamente catturano di più l’attenzione di un giornalista. Vede un pubblico di riferimento più ampio e una potenza comunicativa superiore.

Ma non è solo questo.

Quello che mi piace, generalmente, è la sfida di una startup ad un paradigma consolidato. E farmi raccontare i motivi che hanno portato i founder a ragionare su quella soluzione è una parte molto stimolante di questo lavoro.

Anche voi siete nati in un garage? Ma guarda un po’!

Soldi. Idee. Facile fin qui.

Ma ci sono delle note all’interno di una narrazione che piacciono ai lettori.

Basta, ti prego con frasi tipo: “l’idea ci è venuta una sera al pub davanti ad una birra”. O tutta quella parte di aneddotica classica, dal “garage” all’”abbiamo pensato un Uber per X”.

Gli aneddoti piacciono se sono cose davvero personali, unici, irripetibili. Quindi racconta la tua idea, il tuo percorso, cercando una via originale di comunicazione. La bontà della tua idea passa anche dalla bontà della strategia con cui decidi di comunicarla.

La mente di chi ti ascolta (sia un giornalista o meno) è un setaccio. Si accende se vede un elemento nuovo. Il resto scivola via.

Ogni vita è diversa. E gli stereotipi non solo non colpiscono più, ma sono controproducenti.

Voglio solo farmi i fatti tuoi

Ogni vita è un caso a sé, dicevamo.

A me personalmente piacciono i percorsi di ognuno. Confesso che mi trovo più a mio agio quando intervisto un founder più che trentenne. La vita ha già i suoi strati a 30 anni e puoi ripercorrerla.

Ognuno di noi arriva a fare quello che fa dopo aver “pivotato” il suo percorso alla ricerca di quello giusto. Uno si prende il rischio di fare una scelta, ci crede, si schianta su un muro, si rialza, decide di riprovarci fino a quando non ci riesce. Cambia idea sulle persone che gli stanno intorno, su quello che vuole fare nella vita.

Farlo emergere in un’intervista è una cosa che dà sempre soddisfazione a chi scrive, e curiosità in chi legge, che in quel percorso magari ci si rivede.

O, semplicemente, soddisfa una voglia di spulciare nelle vite degli altri.

Emozionami. È tutto qui

Ogni imprenditore pensa di essere un po’ un eroe.

E in Italia, oggi, dovrebbe esserlo doppiamente. Se poi fa innovazione la leva sulla sua eroicità è 10 volte più forte. Prima di occuparmi di StartupItalia, ho lavorato per un anno a CheFuturo, che mi ha fatto incontrare per la prima volta di questi temi: startup, maker, vita digitale, internet, una tensione continua verso il futuro che ha formato non poco le mie aspettative.

Sentirsi raccontare una visione del futuro delle cose da parte di un founder è una delle parti più emozionanti di un’intervista ad una startup. Non capita così spesso, confesso, ma quando capita ti gratifica del lavoro che fai.

Le cose sono come sono, ma potrebbero benissimo essere altrimenti

Scriveva Robert Musil, autore austriaco che ho amato tantissimo durante l’università. A me personalmente piace tantissimo quell’”altrimenti”. È la frontiera su cui ti muovi, ci muoviamo.

Descrivila. Raccontala. Fai emergere la tua visione delle cose, la tua voglia di cambiarle.

Se non sei entusiasta della tua idea perché dovrei esserlo io?

Ho sempre pensato che un’intervista è uno scambio di energia.

L’intervistato ne esce svuotato, l’intervistatore carico e a volte un po’ confuso.

Quando ascolto parlare un founder, nove volte su dieci è un vulcano di energie, e mai come nel caso delle startup mi è capitato di sentirlo sulla pelle, sui nervi. Difficile dimenticare, per esempio l’energia che mi ha trasmesso parlare con Davide Dattoli, founder di Talent Garden, o Claudio Somazzi di Applix, o ancora Carlo Mancosu di Sardex, Ugo Parodi di Mosaicoon, Francesco Ferrazzino di Father.io.

Ma potrei continuare all’infinito, credimi.

Sono ragazzi che hanno davvero fatto qualcosa di unico e ci mettono dentro tutta la forza della loro età e delle loro idee. Che bello è stato sentirli, e quanto è stato difficile raccontare con le parole la loro voglia.

Ecco, alla fine se devo raccontare di una startup o di un founder cerco questo. Energia. Energia positiva.

La voglia di futuro. In Italia.

Loro (e con “loro” siete in migliaia) avrebbero fatto successo ovunque, hanno scelto di provare a scalare qui.E ci sono riusciti.

Loro, voi, siete un modello. E raccontarlo, raccontarvi, è un bel privilegio.

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